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“volteggi”, sorta di documentario sixties sul mondo del motocross, già

on air fin dal primo mattino. Poi un quartetto di hamburger per cena,

ognuno con guarnitura che ricorda le quattro versioni di bike, il tutto in-

naffiato da birre artigianali. Resta il nome, modificato da Ducati Scram-

bler in Scrambler Ducati. A capo del marchio Scrambler c’è Mario Alvisi,

che ci spiega come la filosofia del brand rifletta quella dello spin-off Mini

in casa BMW, o 500 in territorio Fiat, anche se Ducati è saldamente una

provincia Volkswagen. Facendo un paragone, il celebre Maggiolino si

sarebbe prestato a un’operazione del genere, ma il ritorno del Beetle

non è stato gestito bene, con un posizionamento sul mercato troppo ele-

vato, caro e completamente fuorviante per quella che era nata come

l’auto del popolo. Questa Scrambler nasce sull’onda di movimenti che

invitano a stare bene, rilassarsi, godersi la vita, realizzare se stessi e il

proprio stile anche nella customizzazione di una moto. Infatti una gamma

di ben 120 accessori tra articoli di abbigliamento e ricambi vari è a dispo-

sizione degli acquirenti. Lifestyle a prezzo contenuto, dato che la versio-

ne base è in vendita a 8.240 Euro IVA inclusa, la Icon di colore rosso, men-

tre la gialla costa 100 “euri” in più (info:

http://scramblerducati.com/it

).

Se pensiamo che la Bonneville da sola vale il 50% del mercato Triumph,

sulla Scrambler ci sono grandi aspettative. Questa moto americana co-

struita in Italia di sicuro porta via qualche vendita anche alle Harley Da-

vidson Sportster. Tutte le versioni condividono alcuni elementi di de-

sign, che abbinano note moderne e retrò, con differenze sostanzialmente

estetiche. La Classic è arancione con parafanghi in alluminio. La Urban

Enduro ha un look militare color verde mimetica, con gomme più larghe,

para coppa, barra sul manubrio e altri componenti off-road. La Full Throt-

tle è la versione sportiva, nera, con finte tabelle porta numero e scarico

Termignoni. C’è una porta USB sotto la sella, e il classico fanale rotondo

sapientemente cerchiato con anello a LED che può fungere da faro, dove

non vige l’obbligo di avere le luci sempre on. La strumentazione rotonda

fuori asse sulla destra è un altro rimando alla Scrambler doc. Ora è digi-

tale, ma non include l’indicatore di marcia, che potrebbe essere utile per

un neofita, e la segnalazione del livello carburante: solo una spia indica

quando si entra in riserva. La scritta analogica “Born free 1962” sul tappo

serbatoio, rimanda invece alla storia del modello. Guidiamo sotto la

pioggia, per questo è gradita la tequila a fine prova, una volta giunti al-

l

’www.acehotel.com/palmsprings

(che ricorda l’assonanza con l’Ace

Café). Le Pirelli MT60RS derivano dalle Diablo da pioggia racing, con lo

stesso battistrada che usai io quando stabiliì 4 record mondiali FIM sul

lago salato a Bonneville con la Triumph del team South Bay, dove serviva

molto grip per evitare pattinamenti sul sale. Ho provato nel deserto del

Mojave a valutare la tenuta delle coperture anche nel fuoristrada, e su un

percorso breve e non impegnativo è accettabile, tenuto che la misura

delle gomme (18’ davanti e 17’ dietro) non è quella più idonea allo sco-

po. Se la Scrambler originale avesse continuato ad esistere, sarebbe di-

ventata quella di oggi, dicono in Ducati della loro unica desmodue raf-

freddata ad aria/olio. Il motore deriva dalla Monster 796, ma è più fluido

nell’erogazione. Anche il cambio è di derivazione Monster, a sei marce

modificato per evitare chattering al posteriore in scalata. Alla fine, dopo

un centinaio di km passati a cercare di evitare temporali, il verdetto è

che la moto valga il suo prezzo. E’ la meno intimidente tra le Ducati, è

snella, compatta, facile da guidare, comoda, accessibile, con un’altezza

della sella ottimale e una sezione stretta che la rende maneggevole, e

consente di mettere entrambi i piedi a terra ai semafori. Il peso a secco

è di soli 170 kg, 186 con i liquidi. Anche se usa lo stesso motore, la Scram-

bler è più di una Monster mansueta. E’ altrettanto “nuda”, ma è un con-

cetto di due ruote diversa, più rilassata: ti siedi più indietro che sulla

Monster e lo sterzo è neutro, reattivo senza essere nervoso. Tutto ciò

vissuto con una situazione meteo che ha attraversato almeno tre stagio-

ni, primavera/autunno/inverno, a cavallo delle montagne attorno a Palm

Springs, rendendo più probante il test. Per concludere, Ducati ha sempre

raggiunto il successo unicamente attraverso la bontà dei suoi prodotti.

Quindi, anche nel caso della Scrambler, personalmente il mio metro di

giudizio resta questo. Ducati ha realizzato un mezzo che attrae, ha un ot-

timo prezzo, è una post-Monster e allo stesso tempo una entry level pra-

tica, divertente e accattivante nella linea. E’ un prontuario dinamico

dell’essere motociclista. E allora serviva veramente tutto il fenomeno di

marketing, creato attorno al concept? Per i Ducatisti della vecchia guar-

dia no, ma probabilmente per i nuovi, la clientela femminile e tutti coloro

che non sono appassionati forse sì: per loro la Scrambler sta all’iPhone o

all’iPad. Qui l’impresa vera era quella di lanciare il marchio Scrambler,

mentre quello Ducati rimane legato al “pompone”, caro ai fedelissimi.