

LaFERRARI, LaFORD, La FINALE: La RIVALITA’ FRA DIVE
C
hi si è recato al Salone di Ginevra lo
scorso marzo, nelle giornate riserva-
te alla stampa e agli operatori, avrà
notato a pochi metri dall’ingresso nei padi-
glioni l’enorme manifesto pubblicitario della
nuova Ford GT, presentata a Detroit in genna-
io e pronta al debutto europeo nella città di
Voltaire. Così recitava il laconico slogan del
poster: LaFord. Palese e provocatorio richia-
mo al nome dell’ultima supercar del Cavallino
Rampante, LaFerrari, svelata proprio sulle rive
del Lemano nel marzo 2013. Durante l’apertura
al pubblico, il manifesto è stato sostituito con
altra versione recante la scritta The New Ford
GT. Segno che resta viva, a distanza di molti
anni, quella rivalità nata in pista e mai sopita,
esacerbata dal gran rifiuto di Enzo Ferrari di
cedere la propria azienda alla Casa america-
na. Proprio quando sembrava già tutto fatto,
dopo lunghe trattative con Henry Ford II (il ni-
pote del fondatore) nel corso del 1963. Il Dra-
ke necessitava di un partner importante, per
poter dare un futuro stabile all’azienda, alla
produzione dei modelli di serie, all’attività
della Scuderia. L’accordo era già stato trovato
per un’acquisizione del 50% e prevedeva che
Enzo Ferrari potesse continuare a gestire il re-
parto corse in totale autonomia. Invece, con
sua grande sorpresa, nella bozza di contratto
si trovò dei vincoli di budget con riporto a De-
troit, che riteneva inopportuni e limitativi della
sua libertà manageriale. Così mandò tutto a
monte, e a nulla servirono i successivi tenta-
tivi di riallacciare i rapporti. Ferrari vendette
a Fiat nel 1969. Resta celebre il trionfo nella
tana del lupo, con tripletta e parata finale
magistralmente orchestrata dal grande Fran-
co Lini, direttore sportivo e giornalista, nella
24 Ore di Daytona 1967. Prima e seconda le
Ferrari 330P4 di Lorenzo Bandini-Chris Amon
e Mike Parkes-Ludovico Scarfiotti, e terza la
330P3/412P della NART affidata a Pedro Ro-
driguez-Jean-Guichet. Un arrivo scenico che
rendeva la pariglia alla parata meno spetta-
colare fatta a Le Mans l’anno prima dalle Ford
GT40 Mk. II, 7 litri V8, classificatesi ai primi tre
posti. Quelle schierate da Carroll Shelby per
i vincitori Bruce McLaren-Chris Amon, e Ken
Miles-Denis Hulme, giunti secondi davanti alla
vettura del team Holman&Moody/Essex Wire
Corporation di Ronnie Bucknum-Dick Hutcher-
son. Dopo un lungo predominio Ferrari durato
dal 1958 fino al ’65, ad eccezione della vittoria
Aston Martin nel ’59, il marchio di Detroit si ac-
cingeva a mettere il proprio sigillo alla gara
di durata francese dal ’66 fino al 1969. In verità
tre GT40 avevano dominato anche la 24 Ore di
Daytona del 1966, ma in quell’occasione non
REVANCHISMO D’AMERIQUE, TRA AMORE E OBLIO, IN PISTA E FUORI: UNA PASSIONE CHE DIVENTA MÉNAGE A TROIS!
di A. Cittadini
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ci fu nessun “defilé” sul traguardo. Vinsero
Ken Miles/Lloyd Ruby davanti a Dan Gurney/
Jerry Grant, sempre per i colori Shelby Ame-
rican, precedendo anche in questo caso l’e-
semplare Holman&Moody con Walt Hansgen/
Mark Donohue. Per quei consueti corsi e ricor-
si storici che tanto amiamo, Ford nel 1986 arri-
verà anche a un passo dall’acquisto dell’Alfa
Romeo, “arroccata” ad Arese. Poi il Governo
italiano attraverso l’IRI a guida Romano Pro-
di, deciderà diversamente, dando un indirizzo
ben preciso al futuro dell’industria automo-
bilistica in Italia. E pensare che nell’83, prima
della vendita, la joint-venture tra Alfa Romeo
e Nissan anticipava quel modus-operandi fat-
to di sinergie, collaborazioni, fusioni, che è
stato adottato molti anni dopo da quasi tutti
i gruppi automobilistici. Quella unione avreb-
be potuto aprire la via per avere impianti pro-
duttivi di costruttori giapponesi o asiatici in
Italia, come è avvenuto in tutta Europa tranne
che da noi. La scelta del protezionismo volu-
KERB 1.15
ta dai politici di allora, si è rivelata miope e
non ha creato nuovo terreno di coltura per lo
sviluppo dell’industria automobilistica italiana
del nuovo millennio. L’idea della joint-venture
era molto moderna e inusuale all’epoca, ma
ciò che fece saltare l’intero progetto fu la
bruttezza dell’automobile frutto di quell’ac-
cordo. L’ARNA (Alfa Romeo Nissan Auto) usa-
va i motori Alfa e la carrozzeria della Cherry/
Pulsar; quest’ultima venne scelta perché già
presente con altro propulsore in alcuni mer-
cati europei, quali Gran Bretagna e Svizzera
e quindi omologata in Europa. Fu un insucces-
so totale e di fatto questo flop contribuì for-
temente a creare le condizioni della vendita
di Alfa. Quest’auto venne commercializzata
anche dall’azienda nipponica col nome di
Nissan Cherry Europe (Nissan Pulsar Milano in
Giappone) e presentava solo lievi differenze
nei fari posteriori e in altri particolari minori.
Il marchio Datsun, con il quale era nato origi-
nariamente il primo modello Cherry, era stato
appena “mandato in pensione” dalla Nissan
(è “rinato” nel 2013 come brand low-cost in
Russia e in altri mercati emergenti). Pensate
se al posto della Cherry avessero scelto la
vecchia 240Z vincitrice del Safari Rally! Detto
ciò, torniamo alle nostre supercar. Nel duello
tra LaFerrari e LaFord GT, sempre a Ginevra è
entrata in gioco una terza contendente al ruo-
lo di Regina delle supercar: La Finale Bugatti.
Tre mezzi difficilmente comparabili in funzione
delle caratteristiche tecniche molto diverse:
cilindrate, potenze, contenuti, prezzi e posi-
zionamento lontani tra loro. Eppure, l’articolo
La, è il comune denominatore e ne determina
l’unicità. In esse, gli appassionati riconosco-
no la “summa” dei rispettivi marchi. Con La
Finale Bugatti, cala il sipario sulla Veyron: è
l’ultima delle 450 unità prodotte con motore
W16 in grado di erogare 1200 CV. Una versio-
ne di commiato in allestimento Grand Sport
Vitesse aperta, in attesa del nuovo bolide che
potrebbe portare il nome di Chiron, in omag-
gio a quel Louis pilota monegasco che vinse
proprio a Montecarlo con la Bugatti Tipo 35
nel 1931. Pierre Veyron fece sua la 24 Ore di
Le Mans nel 1939 in coppia con Jean-Pierre
Wimille: ci sono analogie e i cognomi si as-
somigliano. Vedremo, ciò che conta e che si
perpetuerà il nome di Ettore Bugatti, italiano
naturalizzato francese nel 1946; un cambio di
passaporto dovuto più a motivi burocrati-
ci e finanziari legati ai gravi problemi creati
alla sua azienda dalla II Guerra Mondiale (di
nuovo, dopo quelli subiti nella Prima!), piut-
tosto che per altri motivi. Marchio Bugatti
che ora fa parte della Galassia Volkswagen.
©Ferrari